Il calcolo del merito. Per una scuola pubblica di "qualità".
L'esperimento in corpore vili è già stato fatto sui docenti precari della scuola pubblica statale. Valutati con i criteri principe dell'apparato burocratico della PA, ovvero quelli dell'anzianità di servizio e dei titoli, i docenti precari sono divisi da punteggi che li mettono uno contro l'altro nelle diverse graduatorie e aspirano, dopo anni di indegno, non riconosciuto e vergognoso inferno, senza scatti di anzianità, quasi sempre licenziati a giugno per essere riassunti a settembre quando va bene, a quel contratto a tempo indeterminato che è ormai un miraggio. I docenti precari arraffano punti con corsi e corsetti, master sulla cui qualità e su come sono tutelati ci sarebbe da discutere, e molto, come pure sugli interessi economici che vi stanno dietro, fra cui quelli padronali del nostro attuale Presidente del consiglio. Lo scempio l'abbiamo di fronte, ora comunque è il turno dei colleghi di ruolo, già toccati da un rinnovato processo di precarizzazione che vede molti di loro, soprannumerari, raggranellare la cattedra in scuole diverse e in gruppi atomici di ore in discipline improbabili. Vivranno quel giorno funesto di cui hanno visto solo l'alba a fronte della cosiddetta riforma della scuola? La costruzione di un sistema in cui le relazioni si fondino sulla concorrenza virtuosa basata su compensi – premi di produzione –, intesi a gratificare il merito misurato dei singoli, resta vago e volutamente indefinito; come ciò potrà accadere – rientra nella più ampia retorica della “scuola di qualità”, cui aderiscono soggetti politici, partiti e sindacati, in modo chi opportunistico, chi strategico, nel riposizionamento in un quadro di consenso politico. Ma tentiamo qui di seguito di accennare al travisamento di fondo, al fine di smascherare quello che in queste righe chiameremo l'obbrobrio. La scuola è un articolato organismo-contesto che vive di interazioni continue, formalizzate e non, con la società, contribuendo assieme ad altri soggetti istituzionalizzati e non a far cultura, a costruire saperi. I reparti della fabbrica della conoscenza – pensiamo a uno qualsiasi degli istituti o plessi in cui lavoriamo – sono i gruppi di lavoro letto come opera sociale e condivisa. La scuola possiede ancora un soggetto collettivo, il Collegio dei docenti, dotato di ampia autonomia in materia di didattica! Organizzazione e progettazione fondano una struttura in cui le interazioni si basano su collettivi e gruppi. La valutazione degli apprendimenti è fatta dal Consiglio di classe, ad esempio. L'obbrobrio sta appunto nel passare dalla socializzazione delle competenze, socializzazione che contribuisce a costruirle oltre che a definirle, alla libera concorrenza delle professionalità individuali. L'approccio al merito segue un noto schema applicato ideologicamente ai lavoratori della PA, secondo cui, garantendo al singolo il merito monetizzato – il premio di produzione – dovuto a quel che produce, si creerà quella virtuosa concorrenza all'interno della scuola mercato che al contesto degli apprendimenti non potrà che giovare. Ma la scuola non è il libero mercato di Adam Smith e nemmeno quel corpo di burocrati rinsecchito che abbisogna della linfa vitale dell'iniziativa personale all'insegna del diventare “imprenditori di se stessi”. La scuola è un organismo, lo ripetiamo, in cui l'elemento di produzione e valutazione è al massimo grado socializzato. Nella scuola la burocratizzazione dei processi non è spinta, come invece all'interno di altri settori della PA, fatta eccezione marginalmente per i reparti amministrativi. Sintetizzando, ci si trova di fronte alla concreta impossibilità di passare dal valore d'uso al valore di scambio “misurato razionalmente”. Come ci si comporterà con i molti docenti che studiano e si aggiornano in modo serio, ma autonomo e così difficilmente rilevabile? Ma la retorica del merito nel suo dispiegarsi tocca marginalmente e inappropriatamente, evidenziando i suoi limiti, la questione della valutazione dei gruppi di lavoro – i reparti della fabbrica della conoscenza –, cadendo infine nell'errore di confondere il gruppo con la somma algebrica dei suoi componenti, astratta nella misurazione razionale aziendalistica. Di nuovo, come già accennato in un precedente articolo qui su Prometheus, non troviamo alcun cenno alla possibilità di innescare e valorizzare dei processi di auto-valutazione, se già presenti. È possibile esplicitarli condividendo criticamente prassi – le prassi virtuose – all'interno della scuola e fra scuole diverse. Oggi la rete con i suoi strumenti, sfruttabili pienamente con le competenze presenti all'interno della scuola, offre possibili e diversificate soluzioni per lavorare in tal senso, in modo rinnovato e creativo. La tendenza attuale è quindi quella di interpretare e costruire una scuola, valutandola anche, polverizzata e scollata nei suoi attori e nei processi in cui questi sono coinvolti. La razionalità chiusa si articola in un discorso in cui la retorica aziendale frammenta e polverizza un contesto produttivo, stravolgendolo e piegandolo verso altri interessi ben identificabili, come vedremo in seguito.
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