Inoltre, la scuola è un organismo complesso, che interagisce in modo strutturato con il resto della società che la ha prodotta, al cui interno esistono e devono essere fatte affiorare prassi di analisi e di covalutazione già attive: ogni scuola, in quanto organismo sociale articolato, produce e attiva processi di autoregolazione, che devono essere resi visibili ed eventualmente modificati in relazione a contesti e a prassi di insegnamento reali.
Ammesso che una valutazione dell’insegnamento sia in generale possibile, sorgono dunque due problemi: chi valuta e in base a quali criteri? Il problema del valutatore riguarda la sua imparzialità e obiettività. Egli non potrà essere, quindi, né un docente, né uno studente, né un genitore, né un dirigente scolastico, né un insieme di tutti questi soggetti. Ma se fosse un ente esterno, quale titolo potrebbe vantare per valutare il risultato di una relazione didattico-educativa? Più in generale, è possibile che un soggetto valuti oggettivamente il lavoro di un altro soggetto, quando esso non è immediatamente traducibile in un dato numero di merci, di pezzi? Il problema del valutatore si tramuta quindi nel problema dei criteri della valutazione. Qui si tratterebbe di scegliere criteri di valutazione oggettivi per assicurare l’obiettività della valutazione, indipendentemente da chi la effettui. Così si giunge alla questione cardine della docimologia: la definizione di prove di valutazione oggettive. La scuola italiana, negli ultimi dieci anni, si è lanciata alla folle rincorsa della misurabilità obiettiva degli apprendimenti, che si è tradotta nella proliferazione delle prove strutturate, che trovano nei test INVALSI l’esempio più celebre. La diffusione di questi strumenti di valutazione, tuttavia, non è un argomento a sostegno della loro validità. Comunque negli USA, dove furono originariamente introdotti, sono stati successivamente abbandonati, e la loro validità è contestata da psicologi e pedagogisti dei più diversi indirizzi teorici. In generale, non è provato che si possa misurare, ovvero tradurre quantitativamente, un’attività qualitativa, sfuggente e indefinibile come l’insegnamento.
La somministrazione delle prove INVALSI avrà quasi certamente da quest'anno una funzione nuova: la misurazione del merito. I risultati dei test potrebbero infatti essere utilizzati per l'applicazione della Legge Brunetta, come strumento di valutazione della performance individuale di ciascun docente, sulla cui base assegnare i premi di produttività. Ecco perché rifiutarsi di svolgere le prove INVALSI, che tra l'altro non sono rese obbigatorie da alcuna normativa - poiché la Nota MIUR del 30/12/2010, non essendo fonte di diritto, non può modificare le norme regolanti le competenze del Collegio Docenti in materia di funzionamento didattico - e il cui espletamento non figura tra gli obblighi previsti dal CCNL, potrebbe rivelarsi un prezioso strumento di lotta contro il progetto di divisione e gerarchizzazione dei docenti della scuola pubblica.
Ricordiamo ancora una volta, anche in questa occasione, quanto previsto dalla Legge Brunetta:
- Il 25% del personale è collocato nella fascia di merito alta, a cui corrisponde l’attribuzione del 50% delle risorse destinate al salario accessorio collegato alla performance individuale;
- il 50% è collocato nella fascia di merito intermedia, alla quale corrisponde l’attribuzione del 50% delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale;
- il restante 25% è collocato nella fascia di merito bassa, alla quale non corrisponde l’attribuzione di alcun trattamento accessorio collegato alla performance individuale.
PROPOSTA DI MOZIONE
Il Collegio docenti del ........................................... riunito il giorno ...............................
CONSIDERATO CHE
- non esiste alcuna norma che preveda l’obbligatorietà della somministrazione delle prove INVALSI nelle scuole italiane;
- la Nota Miur 30 dicembre 2010 ( “la valutazione riguarderà obbligatoriamente tutti gli studenti delle predette classi delle istituzioni scolastiche, statali e paritarie") non è fonte di diritto e non può quindi in alcun modo modificare le norme che regolano le competenze del Collegio docenti;
- l’art. 7 c. 2 del Testo unico sulla scuola conferisce “competenza generale” al Collegio docenti in campo didattico; in particolare il collegio ha “potere deliberante in materia di funzionamento didattico del circolo o dell'istituto”, che “esercita … nel rispetto della libertà di insegnamento garantita a ciascun docente” (lett. a); “ valuta periodicamente l'andamento complessivo dell'azione didattica per verificarne l'efficacia in rapporto agli orientamenti e agli obiettivi programmati, proponendo, ove necessario, opportune misure per il miglioramento dell'attività scolastica" (lett.d);
- l’art. 4 c. 4 del DPR n. 275/99 (regolamento sull’autonomia) prevede che “nell'esercizio della autonomia didattica le istituzioni scolastiche... individuano inoltre le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale ed i criteri per la valutazione periodica dei risultati conseguiti dalle istituzioni scolastiche rispetto agli obiettivi prefissati”;
- la sentenza della Cassazione n. 23031 del 2 novembre 2007 ha sancito, in modo definitivo, che una circolare ha natura di atto meramente interno della pubblica amministrazione, che esprime esclusivamente un parere e non vincola addirittura la stessa autorità che l'ha emanata; ribadisce che ogni circolare per la sua natura e per il suo contenuto (di mera interpretazione di una norma di legge), non potendo esserle riconosciuta alcuna efficacia normativa esterna, non può essere annoverata fra gli atti generali di imposizione in quanto esse non possono né contenere disposizioni derogative di norme di legge, né essere considerate alla stregua di norme regolamentari vere e proprie; inoltre, la sentenza prevede che la circolare nemmeno vincola gli uffici gerarchicamente sottordinati, ai quali non è vietato di disattenderla, senza che per questo il provvedimento concreto adottato dall'ufficio possa essere ritenuto illegittimo "per violazione della circolare": infatti, se la interpretazione contenuta nella circolare è errata, l'atto emanato sarà legittimo perchè conforme alla legge, se, invece, la (interpretazione contenuta nella) circolare è corretta, l'atto emanato sarà illegittimo per violazione di legge;
- il contratto nazionale di lavoro non prevede alcun obbligo di questo tipo né tra gli obblighi di servizio né nella funzione docente;
- il Dirigente scolastico non ha alcuna facoltà/potere di aderire alle prove Invalsi poiché tale decisione è nella esclusiva competenza del Collegio dei Docenti e nella disponibilità delle/dei singoli insegnanti di classe, i quali possono decidere di aderire o meno;
- il Dirigente Scolastico deve, invece, esercitare i propri poteri (tra i quali non rientra l’adesione ad attività di valutazione senza il voto favorevole del Collegio) nel rispetto delle competenze degli Organi Collegiali (comma 2, art 25 del D.L.vo n° 165/2001);
- nel merito, le prove Invalsi rispondono ad un obiettivo di standardizzazione degli insegnamenti; sono uno strumento per la valutazione e la differenziazione degli insegnanti e delle scuole; non valutano adeguatamente le capacità di analisi, sintesi ed elaborazione critica;
delibera la NON ADESIONE alla rilevazione degli apprendimenti INVALSI per l’anno scolastico 2010/2011.